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Efficacia e sicurezza di un trattamento di prima linea con tislelizumab in pazienti con prima diagnosi di linfoma di Hodgkin non candidabili a chemioterapia standard: studio di fase II in aperto

Fase: Studi clinici di Fase II - III

Principal Investigator: Dott.ssa Rusconi Chiara

Struttura Principale: Ematologia

Farmaco: Tislelizumab (BGB-A317)

Patologie: Tumori ematologici (Linfomi, Leucemie, Mielomi e altri)

Circa due terzi dei pazienti con linfoma di Hodgkin (HL) ottengono una guarigione con l’ABVD (doxorubicina, bleomicina, vinblastina e dacarbazina), chemioterapia standard di prima linea. La maggior parte dei pazienti ha prima diagnosi nella seconda/terza decade di vita, ma almeno il 25% dei nuovi casi riguarda pazienti di età superiore ai 65 anni. Nei pazienti anziani con HL l’esito è più infausto: la malattia è implicitamente più aggressiva rispetto ai pazienti più giovani, si presenta in stadio avanzato in almeno due terzi dei casi ed è associata a molteplici fattori di rischio di esito sfavorevole in accordo all’indice prognostico internazionale per l’HL (IPS). I pazienti possono inoltre presentare compromissione di alcune funzioni d’organo (in particolare midollo osseo, cuore, polmone) che richiede un trattamento di chemioterapia a dosi ridotte (soprattutto dell’antraciclina), ritardi nella somministrazione del trattamento o sospensione della bleomicina, uno dei farmaci della schedula standard. 

Data la difficoltà di somministrazione a dosi piene del trattamento nei pazienti anziani che presentino comorbidità mediche rilevanti insieme al linfoma, si rende necessario lo sviluppo di terapie con agenti nuovi e meglio tollerati. Per pazienti con queste caratteristiche non è al momento stato approvato l’utilizzo di alcun farmaco in monoterapia. Anche farmaci quali la gemcitabina o la bendamustina, farmaci con tossicità limitata ed entrambi attivi in pazienti recidivati/refrattari hanno limitazioni di prescrizione in questo subset di pazienti. Il brentuximab vedotin (BV), farmaco immunoconiugato anti-CD30 è stato l’unico a dare un qualche risultato in pazienti di età superiore ai 60 anni non eleggibili alla chemioterapia standard di prima linea, con una risposta globale del 92% che comprende il 73% di pazienti in remissione completa, e una durata mediana della risposta di 9,1 mesi. 

Nivolumab e pembrolizumab, inibitori dei checkpoint immunitari, sono stati ampiamente testati in pazienti con Linfoma di Hodgkin recidivato/refrattario dopo fallimento sia del trapianto autologo di cellule staminali che della terapia con brentuximab vedotin, ed entrambi si sono dimostrati efficaci con tassi significativi di risposte obiettive, che appaiono durature. La tossicità dei farmaci è accettabile e pertanto entrambi sono stati approvati per il linfoma di Hodgkin recidivato/refrattario, offrendo una buona opzione di trattamento per i pazienti pesantemente pretrattati. Il tislelizumab (T, BGB-A317) è un anticorpo monoclonale umanizzato di tipo IgG4 con elevata affinità e specificità per la proteina 1 deputata alla regolarizzazione della morte cellulare programmata (PD1): tislelizumab ha mostrato un'attività antitumorale superiore rispetto a nivolumab in topi di laboratorio inoculati con cellule tumorali umane e cellule mononucleate provenienti da sangue periferico. In pazienti cinesi affetti da HL dopo fallimento del trapianto o ineligibilità al medesimo sono stati riportati alti tassi di risposta, in particolare un 61% di risposte complete e un 24% di risposte parziali. 

È stato ipotizzato che un'induzione con tislelizumab in monoterapia possa essere una strategia di trattamento chemo-free fattibile da offrire a pazienti con HL de novo non idonei a un approccio di prima linea con chemioterapia standard. 

Lo studio prevede inoltre una valutazione al basale dei biomarcatori del clone tumorale e del microambiente e una loro possibile correlazione con la risposta al trattamento e l’outcome dei pazienti 

Ultimo aggiornamento: 19/05/2025

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